LA SCUOLA CHE VORREI…

Ho fatto due passi per i banchi vuoti, stamattina. Ho eluso la ferrea guardia delle bidelle dicendo che mi serviva un libro e sono entrato.
Le classi vuote, la settimana prima che inizi la scuola: dovrebbero farle patrimonio dell’umanità.
Anche perché, quel silenzio, quando lo senti più.
È bello, quel tutto che deve ancora cominciare. Come un teatro vuoto, il mattino prima di uno spettacolo. Quell’ordine preciso poi, allineato, irreale…Così sfiorando quei banchi con la punta delle dita, immaginandoci sopra gli astucci, i diari, le mani che saranno lì sopra da lunedì, mi è venuto in mente tutto quello che vorrei trovare, dentro quelle classi. Tutto quello che vorrei aiutare a costruire.

Vorrei che più neanche uno studente vivesse costantemente con la paura di sbagliare, di prendere un brutto voto, di restare indietro.
Vorrei che la paura proprio non c’entrasse, con lo stare lì.
Vorrei che ognuno di loro entrando lì avesse la sensazione che stia per succedere qualcosa di bello.
Vorrei che non fosse solo una sensazione.
Un po’ da sognatori idealisti. Un po’ tanto, lo so. Ma è quello che vorrei.

Vorrei che quando ci guardano, noi prof, non lo facessero con quell’espressione un po’ così, della serie: ma davvero ti sei fatto il mazzo e hai studiato per una vita per poi scegliere di fare… il prof?!

Vorrei che la stessa luce che è passata dai miei occhi la prima volta che ho letto L’albatro di Baudelaire, o visto i girasoli di Van Gogh, o ascoltato The Joshua Tree degli U2, quella stessa voglia di conoscere e di farmi domande che mi ha attraversato come una scossa passasse da me a loro, come una malattia contagiosa da cui non vorresti guarire mai.

Vorrei parlare meglio la lingua dei ragazzi, ma non per fare il quarantenne giovanilista presentandomi col cappellino alla Fedez e i pinocchietti: semplicemente per capirli di più, per farmi capire di più.
Vorrei che le classi non fossero solo le classi, ma il giardino, la strada, i musei, i fiumi, il mare. Vorrei che non ci fosse sempre quella barriera che dice loro che la scuola è una roba, e il mondo di fuori un’altra.

Ecco, vorrei che un po’ più di mondo entrasse a scuola, e un po’ più di scuola entrasse nel mondo.

Vorrei riuscire a insegnare la bellezza della fatica, la gioia del sudare dietro a un obiettivo, ma soprattutto: quell’attimo infinito in cui da qualche parte lo vedi, dentro di te, il tuo obiettivo.

Quello soprattutto. Aiutarli a scoprire dov’è che vogliono andare.
Perché in quella orribile fase della vita in cui il difficile è sapere chi essere, il regalo più bello che puoi fare loro è aiutarli a intravedere chi vogliono diventare.
Perché una volta che lo sai, una volta che lo senti, non c’è più niente che ti possa fare davvero paura.

Enrico Galiano