Il nostro orgoglio

…DEDICATO A CHI PENSAVA CHE FARE L’ALBERGHIERO FOSSE DA “SERIE B”

Articolo tratto dal blog “dietroalcibo.com”, postato il 12 febbraio 2014.

Come ogni anno, l’altro ieri (lunedì 10 febbraio) ho fatto la mia solita capatina ad Identità Golose (un importante congresso di cucina che si svolge da 10 anni a Milano) e, sentendo lo chef Massimo Bottura parlare di cucina e filosofia di lavoro ad una platea rapita, mi  è venuto da pensare…

Ho ripensato a chi mi prendeva per matto quando, pur sconsigliato dai miei docenti di scuola media, ho deciso di andare all’alberghiero. “Sei troppo portato nello studio per fare l’alberghiero, non ti dicono niente i tuoi?” oppure “che peccato, eri così studioso… vai a fare solo l’alberghiero…” e anche “ah, tu che ne avresti la possibilità, avresti dovuto laurearti e fare strada…”.

Bene. A (ormai) 15 anni da quando presi l’indirizzo alberghiero, 10 anni finita scuola e dopo 4 anni di lavoro in proprio, posso dire di non aver rimpianti.

Certo, è naturale che non tutti gli studenti che vanno all’alberghiero la pensino come me. Ma questo vale per qualunque scuola, dai licei all’agraria. Questo perché si è obbligati dal sistema ad andare a scuola e chi non vuol studiare cerca la scuola meno impegnativa.

Fare l’alberghiero è sicuramente meno impegnativo di un classico o una ragioneria, ma non per questo dev’essere preso alla leggera. Se si segue seriamente, se si aprono i libri, se si studia scienze dell’alimentazione, inglese e francese, diritto ed economia… Si avranno le migliori basi, per una grande carriera.

Perché fare il cuoco è cultura. Ma non la cultura POP di chi sta in televisione e non in cucina. Intendo la cultura vera. Quella che tramanda tradizioni, studia piatti gustosi per non far morire prodotti che la massa non consuma perché difficili da cucinare o sgradevoli se preparati male, o difficili da reperire. Come ha detto Massimo Bottura (lo chef Italiano più stimato internazionalmente) sul palco ad Identità “Opero per salvaguardare questa realtà dando lavoro ad artigiani contadini, così garantisco una memoria storica per i nostri figli, per dare loro il visibile e l’invisibile, la memoria, il passato che può essere anche criticato e contestato”.

Io ho la fortuna col mio catering di fare piccoli numeri, quindi lavorare con la qualità. Per me, portare a lavoro il riso della mia Lomellina, è un vanto. Usare la carne di maiale dei porcilai a me vicini, macellati con cura dal mio macellaio di fiducia, è un piacere. E non voglio fare il facilone con la “filosofia del gusto” e coi “cuochi che ora sono tutti degli artisti”. In giro c’è chi lavora male purtroppo. Chi lavora con il peggio delle materie prime e senza seguire le giuste procedure. Sta ai clienti giudicare. Noi cuochi viviamo nel giudizio.

Quindi, perché non si vive il mestiere del cuoco in modo meno stereotipato. Non esistono solo ChefStar di TV e cuocacci. Esistono tanti bravi professionisti, formati in alberghieri con budget risicati e che guardando meno al portafogli e più al futuro, fanno sacrifici, fanno gavetta ed imparano bene il mestiere.

Mettiamo da parte le sirene della televisione, i cuochi ora sembrano i più fighi del mondo, ma fino a poco fa, eravamo degli scoppiati senza famiglia che non avevano voglia di studiare da giovani.

Beh, sappiate che di ragazzi in gamba, ogni anno, dall’alberghiero, ne escono in discreto numero (sempre troppo basso rispetto a chi non prosegue). Però ci siamo. E lottiamo per il bene della nostra cucina. E se non conosciamo le declinazioni in latino, ci scuserete, ma sicuramente, molti di noi sanno come preparare qualcosa di buono senza rovinarne i princìpi nutritivi e fare del bene non solo al vostro corpo, ma anche al vostro umore.